L’offerta pubblica volontaria di scambio lanciata da Unicredit su Banco BPM ha scatenato un prevedibile turbine di polemiche e prese di posizione. Come spesso accade in Italia, il dibattito si è trasformato in un’arena di tifoserie opposte e dichiarazioni sensazionalistiche, in cui spicca l’appello, proveniente da alcuni esponenti politici, alla difesa dell’“italianità” di Banco BPM. Un richiamo che sorprende, non tanto per la sua enfasi, quanto per l’incoerenza delle sue premesse.

La paradossale italianità di Banco BPM
Definire Banco BPM un bastione di italianità risulta quantomeno paradossale, considerando che tra i principali azionisti dell’istituto troviamo due colossi internazionali: il Crédit Agricole, una banca francese di primissimo piano, e il fondo americano BlackRock, tra i maggiori gestori di risparmio al mondo. In un contesto globale dove gli assetti azionari delle banche si intrecciano inevitabilmente con attori stranieri, aggrapparsi a una visione nazionalistica appare anacronistico, se non strumentale.

Unicredit: banca “straniera” o globale?
Ancora più spiazzante è la descrizione di Unicredit come una banca “straniera”. Certo, il suo profilo è spiccatamente internazionale: un gruppo presente in numerosi Paesi, con una governance e una visione manageriale globalizzata. Ma questo non ne annulla l’identità italiana. La sua sede è a Milano, il suo ruolo nella storia economica del Paese è evidente, e le sue decisioni strategiche continuano a incidere profondamente sul tessuto economico nazionale. Non si tratta di un’entità estranea, ma di un attore che ha contribuito, e contribuisce, allo sviluppo economico dell’Italia.

Interesse nazionale o sicurezza nazionale?
Al centro del dibattito si colloca la distinzione – troppo spesso offuscata – tra “interesse nazionale” e “sicurezza nazionale”. Difendere un’idea di italianità bancaria come fosse una questione di sicurezza nazionale rischia di compromettere l’equilibrio necessario nell’utilizzo di strumenti come il Golden Power, nato per proteggere settori strategici, ma non certo per alimentare battaglie di retroguardia. La differenza tra i due concetti non può essere piegata alle convenienze del momento: l’interesse nazionale implica crescita, innovazione e competitività, mentre la sicurezza nazionale riguarda la protezione di settori vitali da minacce esterne. Mescolarli confonde le priorità e danneggia la credibilità economica del Paese.

Un’occasione per una riflessione seria
Piuttosto che indulgere in slogan o difese di principio, l’offerta di Unicredit su Banco BPM dovrebbe rappresentare l’occasione per un dibattito più maturo sul futuro del sistema bancario italiano. La necessità di consolidamenti è evidente: le sfide del settore – dalla digitalizzazione alla sostenibilità – richiedono strutture robuste e resilienti. Ma allo stesso tempo occorre considerare gli effetti di queste operazioni sulla concorrenza e vigilare su possibili nuove forme di “oligopolio”. La questione non è se queste operazioni debbano avvenire, ma come garantire che siano gestite nell’interesse di clienti, dipendenti e investitori, senza sacrificare la competitività del sistema bancario nazionale su scala globale.

In un’economia sempre più interconnessa, il futuro delle banche italiane non può essere ancorato a una visione localistica. L’italianità, quella vera, non si difende con le parole, ma costruendo istituti capaci di competere con i migliori, ovunque essi siano.


Stefano Aggravi
Economista – Consigliere regionale della Valle D’Aosta – Membro Comitato scientifico Istituto Friedman

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