Il principe Pahlavi in Italia chiede sostegno per un cambio di regime in Iran
Adesso i politici del mondo guardano al popolo iraniano e non soltanto al regime. Il punto di svolta è da ritrovarsi nelle proteste scoppiate nel settembre 2022 a seguito della morte di Mahsa Amini”
Un cambio di regime in Iran. Questo è l’obiettivo del principe Reza Pahlavi, figlio dello Shah d’Iran Mohammed Reza Pahlavi, intervenuto al convegno dal titolo “Una visione laica e democratica per l’Iran del domani”, organizzato oggi a Roma dall’Istituto Milton Friedman. “Bisogna fare in modo che il regime scompaia il prima possibile per restituire speranza”, ha dichiarato il principe. Fino a poco tempo fa, ha spiegato Pahlavi, il mondo aveva un dialogo “limitato” con l’Iran, che riguardava solo “il regime e i suoi rappresentanti”. Tuttavia, oggi, il mondo ha capito che c’è una differenza “tra il regime che c’è in Iran e il popolo iraniano”. “Ho avuto modo di parlare con legislatori e funzionari governativi soprattutto delle democrazie occidentali” della situazione in Iran, ha raccontato Pahlavi, spiegando di aver discusso con interlocutori in Europa, Italia inclusa, di come “trovare una soluzione ai problemi” non con le “persone che creano i problemi” stessi. “Adesso i politici del mondo guardano al popolo iraniano e non soltanto al regime”, ha spiegato Pahlavi, secondo cui il punto di svolta è da ritrovarsi nelle proteste scoppiate nel settembre 2022 a seguito della morte di Mahsa Amini, deceduta dopo essere arrestata dalla polizia morale per non aver indossato il velo in modo corretto. “Il mondo si è svegliato” ha fatto notare il principe, aggiungendo che durante la forte ondata di manifestazioni, il popolo iraniano ha mostrato il bisogno “di essere liberato dal regime” e questo “senza armi”.
Tuttavia, a detta di Pahlavi, per attuare un cambio di regime è importante ricevere sostegno dall’estero. “Non si tratta di una questione di sicurezza di un Paese straniero, ma di inviare un messaggio di sostegno morale al popolo. Ricevere azioni di questo tipo potrebbe aiutare le vittime del regime”, ha fatto notare il principe, secondo cui per aiutare l’Iran bisogna dare priorità ai cittadini. “Le sanzioni sono forse capaci di indebolire il regime, ma fino a un certo punto. Limitare la repressione sul popolo tramite misure finanziarie è necessario, ma non sufficiente. Bisogna aiutare il popolo direttamente”, ha ribadito. La “missione politica” di Pahlavi consiste nell’incoraggiare un “periodo di transizione” dove alla fine vi sia un popolo “che decide del proprio futuro”. “È necessario creare un ambiente per elezioni libere e giuste, dove le persone possono davvero contare”, ha affermato Pahlavi. L’idea è quella di formare un governo temporaneo e di eleggere un parlamento. Necessario, poi, nominare un’assemblea che si occupi aspetti costituzionali “in uno spirito democratico”. “Vorrei una società laica e democratica”, ha affermato Pahlavi, aggiungendo che per realizzare quest’obiettivo è anche necessario essere “uniti nella diversità” e non escludere nessuno. Parallelamente, il principe crede che il processo di cambiamento debba includere anche un “processo di riconciliazione nazionale”. Infine, bisogna far sì che il “costo del cambiamento sia minimo”. Ad ogni modo, oltre ad aiutare le “vittime”, offrendo anche assistenza medica, è necessario risolvere il problema alla radice, ovvero “sciogliere il regime”.
Il principe Reza Pahlavi, principe ereditario e figlio maggiore dell’ultimo scià di Persia Mohammed Reza Pahlavi, detronizzato dalla rivoluzione islamica del 1979, ha intrapreso, oggi, una visita di due giorni a Roma, la prima in veste ufficiale con la consorte, la principessa Yasmine Pahlavi. Scopo della visita, organizzata e curata da Mariofilippo Brambilla di Carpiano, da molto tempo vicino alla famiglia Pahlavi, è quello di condividere la sua visione di un Iran laico e democratico per il futuro. “Il principe Pahlavi da oltre 43 anni si batte per la democrazia in Iran, per la separazione della religione dal governo dello Stato, per le libertà individuali, per la difesa dei diritti umani e per la coesistenza pacifica con le altre nazioni mediorientali” si legge in un comunicato diffuso dall’Istituto Friedman, in cui si aggiunge: “Non rivendica un ruolo istituzionale per sé stesso, il suo obiettivo è quello di traghettare l’Iran verso una transizione democratica che lasci liberi i cittadini di scegliere con il voto la loro eventuale e futura forma di governo”. “Reza Pahlavi non è ‘solo’ il figlio dell’ultimo Shah di Persia, ma è l’Uomo, il leader che crede e combatte pacificamente con coraggio per un Iran libero, democratico, secolarizzato e laico contro un regime sanguinario e folle che aspira ad essere potenza nucleare”, ha affermato l’Istituto, secondo cui “la visita del principe Reza Pahlavi in Italia così come la conferenza di oggi alla Camera con l’onorevole Bagnasco e l’amico Mariofilippo Brambilla, assumono in questo preciso momento storico, un significato ancora più rilevante e simbolico”. “Dopo la storica visita in Israele dove il Principe è stato ricevuto dal Presidente Herzog e dal Primo Ministro Netanyahu, la decisione di venire a Roma parlare al Popolo italiano e alle istituzioni repubblicane, nella capitale della cristianità nel giorno del 75mo dell’indipendenza d’Israele, non può che onorarci ed essere motivo di grande soddisfazione”, continua il comunicato.
Reza Ciro Pahlavi, 62 anni, è insignito del titolo di cavaliere di Gran croce Ordine al merito della Repubblica italiana. La sua visita a Roma giunge a poche settimane da quella in Israele, svolta in un momento di particolare tensione tra Teheran e lo Stato ebraico. Sin dal suo esilio negli Stati Uniti, iniziato nel 1979, l’erede al trono sta cercando di ritagliarsi un ruolo per mediare tra gli oppositori democratici al regime degli ayatollah per dare un nuovo corso al futuro della Repubblica islamica. Nei mesi scorsi, in concomitanza con i timori per l’arricchimento dell’uranio quasi al 90 per cento, Israele ha condotto esercitazioni congiunte con gli Stati Uniti e ha continuato a colpire obiettivi iraniani e filo-iraniani in Siria. La postura di Israele ha lasciato presagire sia l’eventualità di un attacco preventivo più vicino che mai sia un tentativo di agevolare un cambio di regime in Iran, che ben si esprime con la visita di Pahlavi a Gerusalemme, dove ha incontrato i vertici israeliani. Dopo l’annuncio della visita, la ministra dell’Intelligence di Israele, Gila Gamliel, ha detto: “Stiamo facendo il primo passo verso la ricostruzione dei legami tra i nostri popoli”. “Il principe ereditario simboleggia una leadership diversa da quella del regime degli ayatollah e promuove i valori della pace e della tolleranza, a differenza degli estremisti che regnano in Iran”, ha aggiunto la ministra.
Annunciando la sua visita in Israele, il principe aveva detto di voler “coinvolgere esperti idrici israeliani sui modi per affrontare l’abuso delle risorse naturali dell’Iran da parte del regime e rendere omaggio alle vittime dell’Olocausto”. “Oggi facciamo il primo passo per ricostruire i legami tra le due nazioni”, ha detto il ministro. “Voglio che il popolo di Israele sappia che la Repubblica islamica non rappresenta il popolo iraniano”, ha aggiunto Pahlavi, che potrebbe diventare la figura iraniana più importante ad aver mai effettuato una visita pubblica in Israele. “L’antico legame tra la nostra gente può essere riacceso a beneficio di entrambe le nazioni. Vado in Israele per svolgere il mio ruolo nella costruzione di quel futuro più luminoso”, ha aggiunto l’erede al trono in esilio. In un’intervista concessa ad “Agenzia Nova” a margine della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, il principe aveva affermato che “nessuno vuole la guerra” tra Iran e Israele. Come sottolineato dall’erede al trono del Pavone, Israele e Iran hanno “una relazione biblica” che trova manifestazione nella preghiera ebraica del sabato, in cui “viene citato Ciro il Grande”, imperatore di Persia dal 550 al 530 avanti Cristo e a cui si deve la liberazione degli ebrei dalla “cattività babilonese”. Pahlavi aveva quindi osservato che un nuovo Iran eliminerebbe “tutte le minacce” della Repubblica islamica, “compresa quella nucleare”. In tale prospettiva, “la soluzione più rapida” è la caduta del “regime”.
Le visite di Pahlavi in Israele e Italia sono giunte, inoltre, mentre l’Iran e l’Arabia Saudita hanno riavviato le loro relazioni diplomatiche, con una serie di effetti sulla regione. Vale la pena ricordare che, il 17 aprile, il premier di Israele Benjamin Netanyahu ha ribadito che il Paese vuole la “normalizzazione e la pace con l’Arabia Saudita”. Durante l’incontro con il senatore repubblicano statunitense, Lindsey Graham, a Gerusalemme, il capo dell’esecutivo ha aggiunto: “Lo consideriamo forse un passo da gigante verso la fine del conflitto arabo-israeliano. Questo accordo potrebbe avere conseguenze epocali, conseguenze storiche sia per Israele, che per l’Arabia Saudita, per la regione e per il mondo”. Dopo la firma degli Accordi di Abramo nel 2020, che hanno sancito l’avvio delle relazioni diplomatiche di Israele con Emirati Arabi Uniti e Bahrein, lo Stato ebraico ha più volte espresso la volontà di intrattenere rapporti con l’Arabia Saudita, custode dei due luoghi santi per l’Islam a Mecca e Medina. Tuttavia, l’avvicinamento tra i due Paesi potrebbe non essere così vicino, considerando la nuova fase dei rapporti tra Riad e Teheran.