Il presidente della National Oil Corporation (NOC) della Libia, Farhat Bengdara, ha annunciato che il 70% del territorio libico rimane inesplorato per quanto riguarda le risorse petrolifere, suggerendo un notevole potenziale di crescita per il settore. Parlando a un workshop al Cairo, Bengdara ha sottolineato l’impegno della NOC nello sviluppo di queste risorse attraverso partenariati internazionali. La Libia detiene già le maggiori riserve petrolifere provate dell’Africa – oltre 48 miliardi di barili – e riserve significative di gas naturale.

Nonostante le abbondanti riserve di petrolio e gas, la Libia è considerata una regione ad alto rischio per gli investimenti. Il paese è precipitato nel caos dopo la rivolta del 2011 sostenuta dalla NATO, trasformata in una guerra civile che ha rovesciato e poi ucciso il leader autocratico Muammar Gheddafi. Negli ultimi dieci anni, il paese è stato governato da due governi rivali: uno con sede nell’est e l’altro a Tripoli, nell’ovest. I gruppi armati libici, ancora molto attivi nella parte occidentale del paese, hanno ripetutamente dimostrato la loro volontà di manipolare il mercato del carburante e dell’energia per perseguire i propri interessi.

Uno dei principali paesi interessati al petrolio e al gas libici è l’Italia. La Libia rimane un fornitore chiave di petrolio greggio e gas per l’Italia e altri paesi del Mediterraneo, nonostante la volatilità della produzione. Non a caso, l’accordo da 8 miliardi di dollari siglato dall’Italia con la Libia nel 2023 è stato criticato non solo da politici libici ma anche da esperti internazionali nel settore energetico. Il ministro del Petrolio del Governo di Unità Nazionale (GNU), Mohamed Oun, ha definito l’accordo “illegale” in un’intervista televisiva locale, sostenendo che la NOC non ha consultato il suo ministero. Matteo Villa, esperto dell’ISPI con sede a Milano, evidenzia che l’instabilità, la crescente domanda interna e la mancanza di investimenti hanno notevolmente ostacolato la capacità della Libia di fornire gas ai mercati esteri.

L’inaffidabilità del mercato energetico libico è ben rappresentata dal recente blocco petrolifero durato cinque settimane, nato da una disputa sul controllo della Banca Centrale. L’impatto di questa crisi va oltre i confini della Libia. Le interruzioni delle esportazioni di petrolio libico, in particolare verso l’Europa, influenzano gli equilibri di mercato. Per gli stakeholder europei, una prolungata riduzione delle forniture dalla Libia potrebbe richiedere aggiustamenti strategici e contrattuali.

Inoltre, le rinnovate discussioni sull’esplorazione del giacimento petrolifero e di gas Hamada da parte dell’azienda italiana Eni hanno provocato la mobilitazione delle milizie nell’area del blocco NC-7 del giacimento di Hamada. L’esperta di MEES Nada Ahmed osserva che l’incidente “sottolinea ancora una volta i rischi che l’instabilità della Libia pone agli investimenti di Eni”. Infine, il caos del controllo delle milizie sugli affari della Libia occidentale ha raggiunto il punto in cui la valvola del gas che rifornisce l’Europa è stata temporaneamente chiusa da una milizia per protestare contro il rapimento di un ufficiale dei Servizi Generali di Intelligence libici.

I rischi legati alla situazione libica non impediscono all’Italia di puntare a un ruolo centrale nel Mediterraneo come hub del gas. Tre gasdotti provenienti da Azerbaigian, Libia e Algeria portano gas sulle coste meridionali italiane. Unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione consentiranno di importare più gas da Egitto e Israele. Se la Germania decidesse di importare più gas dai produttori del Mediterraneo, una parte di esso potrebbe transitare attraverso l’Italia, che può facilmente stoccarlo nei giacimenti di gas dismessi della Pianura Padana.

Tuttavia, date le crescenti competizioni tra le potenze mondiali in Africa, le ambizioni italiane potrebbero incontrare resistenze da parte di Turchia, Francia, Emirati Arabi Uniti e altri paesi attivamente presenti in Libia.

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