L’articolato della legge di bilancio per il 2019 è finalmente approdato in Parlamento, dipanando l’infinita serie di dichiarazioni, promesse e smentite che hanno accompagnato la sua stesura, hanno monopolizzato i dibattiti nazionali ed avvelenato i rapporti internazionali. Il testo è arrivato un po’ in ritardo rispetto alla data imposta dalla legge, ma ci sta: quasi tutti i ministri sono nuovi dell’incarico e la difficile ricerca di un pur precario equilibrio tra le incredibili promesse elettorali di primavera e la dura realtà del governare ha dilatato i tempi, ancorché non abbia permesso di trovare soluzioni valide ai cronici problemi nazionali. Anzi. Un testo un po’ annacquato rispetto alle iniziali mirabolanti dichiarazioni che, oltre ad averci fatto perdere molta credibilità internazionale (lo spread dei titoli di stato misura anche la nostra reputazione dentro e soprattutto fuori dai confini) ed aver posto una seria ipoteca sulla crescita economica del Paese, sta per minare ulteriormente qualche residuo scampolo di credibilità internazionale faticosamente conquistata in decenni di lavoro e sacrifici. Un colpo alla nostra attendibilità di cui non si sentiva il bisogno. Rischiamo, infatti, di tagliare con un tratto di penna grandi opere avviate sulla base di pluriennali accordi multinazionali; avevamo solennemente promesso, in sede comunitaria, un deficit ben inferiore rispetto a quello che è poi stato riportato nelle previsioni di bilancio; ora, nel dettaglio, stiamo per smentire un altro impegno chiaramente sottoscritto tempo fa insieme agli altri partner della Nato: quello di portare, entro il 2024, le nostre spese per la difesa al 2% del PIL, al momento ferme a circa l’1,1. Un impegno, peraltro, che sta molto a cuore al Presidente Trump e che noi ci stiamo avviando a ritrattare con eccessiva leggerezza e scarsa lungimiranza. Nonostante qualche mese fa lo stesso Segretario dell’Alleanza avesse chiaramente dichiarato che dal 2% devono pure tenersi fuori le spese sostenute per le missioni fuori area, anche se effettuate sotto l’egida di Organizzazioni internazionali. Una riduzione finanziaria, quella che interesserà nel 2019 lo strumento militare, che quasi certamente colpirà i programmi di investimento, non solo incidendo su occupazione e crescita ma anche generando ulteriori incertezze in un comparto vitale per il Paese, vuoi per le ricadute economiche dirette vuoi per le ripercussioni internazionali indirette. Il mercato internazionale della Difesa (in decisa crescita in quasi tutto il pianeta) si basa sulla bontà tecnica dei prodotti ma anche sulla credibilità dei contraenti che spesso sono i governi nazionali. La produzione nazionale al riguardo interessa lo 0,8 % del PIL, l’80% delle commesse giungono dall’estero dando un valore concreto all’immagine di serietà della nostra dirigenza politica. La riduzione di capacità delle nostre Forze Armate, dunque, oltre a mettere a rischio uomini e mezzi si avvia a gettare una ulteriore zavorra sull’economia del Paese.
Francesco Lombardi
Membro del Comitato scientifico dell’Istituto Milton Friedman